giovedì 31 ottobre 2013

Intervista al gruppo musicale Stanley Rubik



L’entità Stanley Rubik nasce nel 2011, a Roma, dall’incontro fra Dario (basso, voce e programming) e Gianluca (chitarra, voci e synth). I due, accomunati dall’interesse trasversale per il rock, le sonorità indie e le contaminazioni elettroniche, iniziano un fertile processo compositivo caratterizzato dal continuo imbastardimento tra gli stilemi del rock d’avanguardia, le sequenze elettroniche e le armonie spesso dissonanti. A loro si aggiunge poco dopo Andrea (batteria e sampler), chiamato ad interpretare il ruolo di collante ritmico. Chiude il cerchio l’ingresso di Domenico (chitarra e synth), grazie al quale la formazione trova il suo equilibrio. “lapubblicaquiete” è il primo lavoro ufficiale della band siamo dunque andati ad intervistarli.

Partiamo dal vostro nome bizzarro! A metà tra il cubo e il regista…
A noi piacciono molto gli incastri. Sia quelli necessari per risolvere il cubo, sia quelli narrativi e visivi che contraddistinguono la cinematografia di Kubrik.. e poi volevamo un nome ironico, che avesse alla fine anche un effetto “buffo” o straniante. Tutto sommato l’incastro (quello tra rock e elettronica) è anche la caratteristica principale della nostra musica – se l’incastro fallisce, il pezzo non riesce, il cubo lo butti dalla finestra, e il protagonista muore!

"lapubblicaquiete" è il vostro EP d’esordio. Volete raccontarci com’è nato questo brano?
L’EP contiene tre brani che sono stati selezionati ad hoc da una base molto più ampia di idee in vari stati di avanzamento, e che ci sembravano i più adatti a rappresentarci in questa precisa fase. Solitamente tutto prende forma da uno scheletro proposto da Dario o Gianluca, molto spesso in forma di sequenza elettronica, che il resto del gruppo si occupa di sporcare e imbastardire con i vecchi strumenti “analogici”.

Che esperienza è stata lavorare con i Velvet?
Senz’altro un’esperienza molto formativa e stimolante. Ci hanno innanzitutto aiutato a capire quale direzione prendere e che tipo di colorazione sonora dare ai brani, inoltre hanno fatto un lavoro di missaggio e produzione pazzesco valorizzando moltissimo il materiale grezzo che avevamo registrato in maniera piuttosto “casareccia”.


Il disco è stato anticipato dal singolo “Pornografia”. A che oscenità vi riferite?...

L'intervista continua qui

mercoledì 23 ottobre 2013

Intervista al gruppo texano Balmorhea



I Balmorhea (pronunciato Bal-More-Ay) sono un sestetto di Austin, Texas, fondato  nel 2006 da Rob Lowe e Michael Muller che suonano chitarra, pianoforte, banjo. Sono poi subentrati Aisha Burns — violino, Dylan Rieck — violoncello, Travis Chapman — contrabbasso e Kendall Clark — percussioni.
La band prende il nome da un piccolo paesino del Texas e proprio come il suo moniker la musica della formazione riflette motivi e immagini del sudovest americano: il folklore texano, i paesaggi montuosi, la solitudine, la natura e la notte, in un sound strumentale, elegante e suggestivo che spazia dal folk, al post-rock, all'avanguardia. Durante gli anni il gruppo ha accolto nuovi membri, tra cui una sezione d'archi e percussioni, che hanno contribuito a rendere la musica dei Balmorhea concisa e complessa al tempo stesso, arricchendo ulteriormente lo spettro sonoro della band.
L'ultimo album dei Balmorhea, “Stranger”, è stato pubblicato nell’Ottobre 2012 da Western Vinyls/Goodfellas.

La Voce li ha intervistati per voi.

Vi sono piaciuti i concerti in Italia?
Gli italiani hanno un posto particolarmente speciale nei nostri cuori. Ogni volta che abbiamo suonato qui la gente ci ha dimostrato calore e affetto.

Com’è nato “Stranger”?
“Stranger” è stato congegnato, scritto e registrato con tempi molto più lunghi rispetto ai nostri lavori precedenti . Vi abbiamo dedicato più tempo rispetto a quelli passati e abbiamo sperimentato con il testo, con processi e il mixing rispetto ad altri album . E’stato registrato in tre studi diversi con tre tecnici diversi e ognuno ha messo a disposizione le proprie tecniche e qualità per rendere “Stranger” la nostra opera più completa.

Come avete scelto di fare musica senza l’uso delle parole?
Non abbiamo mai deciso di essere un gruppo “senza parole” . Ma in qualche modo , i testi e la struttura generale "canzone" non sembrava avere un senso, e comunque il prodotto era qualcosa di forzato, innaturale. Invece le composizioni strumentali si sono sempre sviluppate in maniera naturale.


In che modo il Texas ha influenzato la vostra musica?...

L'intervista continua qui