martedì 28 maggio 2013

'Un attore deve avere il dono dell’ecletticità'. Intervista all'attore Giordano Petri



Cinema, televisone, teatro: Giordano Petri si dedica a tutte e tre con estrema duttilità.
Classe ‘79 e nipote d’arte del regista Elio Petri, Giordano è travolto dal fuoco della recitazione sin dalla più tenera età.Dopo il diploma alla Scuola Nazionale di Cinema dove lavora con numerosi maestri come Luca Ronconi, Leo Gullotta e Anna Galiena, ha numerose esperienze teatrali: interpreta il ruolo di coprotagonista ne La Signora dalla Camelie con Monica Guerritore e sempre con lei lo ritroviamo in La Giovanna D’Arco. Ricopre il ruolo di Emone nell’Antigone di Sofocle con Alessandro Haber ed è accanto a Lando Buzzanca ne La zia di Carlo.
Crimini Coniugali per la regia di Luca Pizzurro gli porta un buon successo nel 2009.
Non mancano per Petri esperienze televisive come Don Matteo, Sei Forte Maestro, Il Sangue e la Rosa, Carabinieri, Il Commissario Manara, Ris Roma, Distretto di Polizia, Benvenuti a Tavola – Da nord a Sud.
Poi lo vogliono anche al cinema: nel 2002 interpreta un ruolo nel film Pinocchio di Roberto Benigni e nel 2005 ottiene una parte importante con il film Ma l’amore… sì. Il 2010 è l’anno di un ruolo da protagonista nella pellicola Per Sofia, una parte importante che lo porta a vincere il premio Nino Manfredi d’Oro al Cinema come miglior attore Emergente e una Menzione speciale come Migliore Attore Protagonista agli Awards 2010 Sicilian Film Festival di Miami. Nella fiction Rosso San Valentino in onda in prima serata da aprile interpreta Marco, un ragazzo vendicativo e immischiato in brutti affari legati alle scommesse clandestine. 

La Voce ha intervistato il bel tenebroso. A lui la parola. 

Giordano, ti sei dedicato sia al cinema, che alla tv che al teatro. Cosa hanno in comune e in cosa differenziano? 
Principalmente l’amore incondizionato è per la recitazione e, a seguire, per tutte le forme di spettacolo. In realtà il teatro è la mia dimensione ideale, perché mi permette di interagire direttamente col pubblico. Il teatro è stato il mio primo passo verso il mondo dello spettacolo e ricordo ancora l’ansia di riuscire a portare in scena una recitazione convincente in grado di trasmettere emozioni. Il segreto, secondo me, è quello di emozionarsi sempre per poter, a mia volta, emozionare. Vivo ogni giorno questa fantastica esperienza lavorativa come se fosse l’ultima e cerco di conquistarla come se fosse la prima volta. La magia del palco di un teatro riesce a darti la possibilità di dimostrare realmente le tue capacità; è a teatro che entri in contatto con persone reali con cui devi riuscire a stabilire un rapporto immediato. E ogni sera hai un pubblico diverso con cui devi riuscire a creare empatia. Con la macchina da presa puoi bluffare, ci si può fermare, ripetere la scena. Il teatro è un viaggio. Parti da lontano, leggi, rileggi, provi. Quando inizi ad interpretare un personaggio ti ci butti completamente: dal debutto fino all’ultima replica sei quel personaggio. Questa alchimia tra te e il personaggio non riesci a trovarla facilmente al cinema o in tv. È un lavoro diverso, a volte snervante. Non si riesce a trovare subito la concentrazione o il giusto stato d’animo in ogni momento. In entrambe le forme di recitazione, deve sempre esserci una sana e costruttiva emozione: le farfalle nello stomaco che senti prima di entrare in scena sono il motore che ti fa andare avanti sempre. Tuttavia non riesco a fare questa scelta: non posso fare a meno né dell’uno né dell’altro mezzo.  

Preferisci l’emozione del pubblico in sala oppure lo sguardo della macchina da presa? 
Il cinema è ancora un sogno, forse una chimera. Ti consente di avere una cura e una ricerca che in tv oramai, stante i tempi stretti e l’abbassamento della qualità, difficilmente si può ritrovare. Il teatro è il vero test: se sai stare su un palco sei un attore. Ci vorrebbe un battage pubblicitario a tappeto, un po’ come quei giornali di gossip che parlano di reality. Ecco, ci vorrebbe una cultura del teatro, e incuriosire la gente, farla avvicinare. Ma è dura. Sono sempre partito dal presupposto che un attore deve avere il dono dell’ecletticità, misurarsi con personaggi diversi tra loro ti dà la possibilità di conoscere sempre più le proprie capacità e sfidare i propri limiti. Vivere esperienze e stati emotivi che nella vita reale probabilmente non riusciresti a sperimentare è la parte più interessante di questo lavoro. Quindi le mie scelte lavorative sia in teatro che nel cinema sono state sempre dettate da questa mia curiosità interiore di sperimentarmi in ruoli sempre più diversi a volte distantissimi da me. Beh, il teatro è il mio primo amore e ti dà la possibilità di crescere ogni sera insieme al personaggio a secondo dell’empatia che stabilisci con il pubblico ed il tutto avviene in maniera diretta, veloce neanche hai il tempo di pensare. Il cinema è il sogno che si trasforma in realtà, e ti dà la possibilità a volte con un piccolo movimento o sguardo o respiro di mostrare un mondo di emozioni che in teatro per farle arrivare dovresti ampliarle uscendo dalla naturalità del piccolo gesto. 

Hai mai pensato di fuggire per inseguire una carriera all’estero come tanti tuoi colleghi italiani? Dato il periodo che stiamo vivendo in Italia, se avessi qualche anno in meno penserei seriamente di emigrare. Ma ora come ora mi piace fare il mio lavoro in Italia anche se non nascondo che mettere il “naso fuori porta”, andare a Parigi, Londra, Berlino, New York, Bollywood sarebbe molto affascinante.Ho amici artisti e attori che, quando sono all’estero,  riescono ad inquadrare meglio la situazione e le prospettive che l’Italia può darti. Quando si rientra (se si rientra!) si riesce ad essere più obiettivi, a guardare tutto in maniera diversa… Spesso quello che si vede non è positivo, specie se lo si paragona con le realtà visitate. Ma è anche vero che noi italiani diamo il nostro meglio in emergenza: l’italiano puoi criticarlo, dirgli di tutto (e io lo faccio quotidianamente) però una cosa va detta quando si arriva al fondo si riesce sempre a risalire con grande dignità dando spesso prove di eccellenza.

La tua ultima fatica è stata ‘Rosso San Valentino’, che esperienza è stata?
E' stata una bellissima esperienza, ricca ed entusiasmante. Mi aspettavo che facesse un buon risultato, perché già quando ho letto il copione mi sono subito appassionato alla storia. Immaginavo che sarebbe piaciuta anche al pubblico. Tantissimi personaggi, uno più bello dell’altro e quindi credo che il successo sia dovuto a questo. In questo modo vengono attirate più persone: gli adolescenti che si rivedono nella storia d’amore dei ragazzi, i bambini per i giovani protagonisti, le persone adulte che invece ripercorrono certe tappe legate a certi sentimenti ed emozioni e quindi la fiction richiama a sé tutte le generazioni. È stata un’esperienza molto piacevole, di grande intesa con il cast. Ho avuto la possibilità di collaborare con molti giovani attori ma anche con altri provenienti da esperienze diverse. Il mix ha fatto sì che si respirasse sempre un’atmosfera fresca, di continua sorpresa...

L'intervista continua qui





martedì 21 maggio 2013

Intervista a Suor Anna Nobili. Dal cubo al velo: folgorata sulla via della danza




La storia sincera di una giovane donna e della sua trasformazione. Il racconto di una conversione e della passione per il ballo. E se sei una donna giovane e bella e passi le notti della tua giovinezza nei locali notturni di Milano, ballando sui cubi tra alcol e sesso facile, e poi diventi una suora operaia dal vestito color cielo della Santa casa di Nazareth, allora è vero che hai una grande storia da raccontare. E questo è quanto fa Suor Anna Nobili nel suo libro “Io ballo con Dio”, dove racconta, senza filtri e molto diretta, la sua vita di trasgressioni prima di arrivare alla conversione.

Con sorriso aperto e aria risolta, Suor Anna si è raccontata a La Voce.

Da poco è uscito il suo libro “Io ballo con Dio”. Me ne vuole parlare?
E’ stato scritto in 3 anni a quattro mani con Carolina Mercurio, una cara amica che purtroppo non c’è più.
Nonostante in realtà i valori della leucemia si fossero completamente abbassati, è morta l’anno scorso di un tumore che non era riuscita a sostenere, mi raccontava che questa malattia le aveva fatto scoprire l’essenziale. Spesso l’accompagnavo a fare la dialisi ed era lei a dare gioia di vivere agli altri. Era davvero una donna meravigliosa…
Il coreografo Stefano Vagnoli ha deciso di fare un musical sulla mia vita e gli serviva un canovaccio per costruire i dialoghi, allora ho chiesto aiuto a Carolina.
Ho avuto una vita piuttosto complicata, ma ho pensato che fosse arrivato il momento di condividerla anche per aiutare gli altri.
Ho ballato per anni sul cubo, avevo avventure di una sera intrise di alcool che però mi lasciavano sempre infelice.
Un giorno, stanca della vita stavo conducendo e non mi stava portando a nulla, se non all’autodistruzione decido di andare ad Assisi, e lì Dio mi ha chiamato a sé: non ho potuto che seguirlo.
In seguito ho preso i voti e da cinque anni faccio parte della Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth. 
Ho quindi lasciato il mondo della vita di notte, ma...

L'intervista continua qui

giovedì 9 maggio 2013

'Cantiamo la Libertà'. Intervista a Barmagrande



BarmaGrande sono ormai una realtà consolidata nella scena reggae italiana.
Il trio è composto da  Emma Lercari e dai fratelli Sandro e Marco Donda i quali dopo l’ultima produzione della band, ‘Libertà’, il quinto album in studio co-prodotto con Stephen Stewart si sono raccontati a La Voce.

Vi definite una band "reggae roots", cosa significa?
Il roots reggae è il reggae delle origini, quello suonato da Bob Marley per intenderci e dai foundations cioè dai fondatori della musica reggae: Gladiators, Congos, Abyssinians, Burning Spear…
E' una musica solare e rilassante, con belle melodie, dai contenuti profondi, spirituali, che hanno le radici nella nostra cultura. Nella cultura jamaicana rasta il reggae e la musica nyabinghi hanno un potere curativo. Noi speriamo che anche il nostro reggae abbia questa qualità.

Cosa vi ha portato a fare musica?
Barmagrande è una band che suona da 18 anni, la musica è un modo di vivere, la ricerca delle parole, dei messaggi, delle melodie, del groove. Chi fa musica passa il proprio tempo immerso in questo tipo di ricerca. Tutti dovrebbero fare musica, farebbe bene a un sacco di persone.

‘Libertà’ è il vostro quinto album. Cos’è per voi essere liberi?
La libertà di cui si parla nella nostra canzone è la libertà dall'oppressione, specialmente rivolta al popolo tibetano che soffre enormemente per la crudeltà del regime di occupazione cinese. I cinesi dicono che il Tibet fa parte della Cina, ma i superstiti tibetani non la pensano così: 120 persone si sono bruciate vive in 2 anni per protestare contro la violazione dei diritti umani. Non ne possono più. 
Per noi la libertà è essere liberi di scegliere, di professare la propria religione, la libertà di pensiero e di parola. La libertà dallo sfruttamento delle persone e del Pianeta. La libertà dall’asservimento economico, finanziario e culturale.

Nell’era in cui tutti scaricano musica  illegalmente,  vostro album è in free download. Come mai?
Perché a noi non interessano i diritti d'autore. Per noi sono solo una farsa, servono a chi è dentro al sistema e noi siamo totalmente al di fuori. Almeno abbiamo la possibilità di divulgare la nostra musica gratis, come ci pare, abbiamo ancora questa possibilità con internet ed è questo che ci interessa...

L'intervista continua qui