Sonorità del pop, denuncia del
rap: basta poco per evocare Enrico
Bicchi ma non per raccontarlo.
Determinato - “Il mio prossimo obiettivo è farmi passare dalle radio”, dice- capisce sin da ragazzino che la musica
sarebbe stato il suo futuro.
“Fino all'ultimo respiro”
è il suo primo album, un disco visionario improntato sul presente e sul futuro,
su un linguaggio inedito. Un romanticismo tutt'altro che banale e su delle
sonorità anglosassoni grazie alla collaborazione con più componenti dei Faithless.
Enrico racconta il tormento di un
ragazzo di vent’anni che si avvicina ai trenta e che si chiede se davvero vuole
crescere.
Alla mano, tuttavia ironico,
dalla voce di questo artista al telefono percepisco che il tormento non è
finito, che lui è ancora alla ricerca di qualcosa.
Si è raccontato a La
Voce in quest’intervista
“Fino all’ultimo respiro” è il tuo primo album. Come mai hai scelto di
intitolarlo come un famoso film del regista francese Godard?
Esattamente, il cinema francese è
una mia passione, in particolare Godard. Trovo questo film abbia
caratteristiche futuristiche, visionarie. Mi ha molto ispirato. L’album è nato proprio quando stavo per
lasciare il mondo della musica perché non sapevo più cosa volevo davvero.
Poi ho iniziato a scrivere e mi
sembrava di essere credibile, questo è importante.
A Jamie Catto è piaciuto il progetto,
mi ha detto: “Lavoriamoci!” e da lì è nato il disco, prendendo ispirazione da
Orwell, Bowie e i Verve.
Ci ho messo 3 anni per scriverlo
e, devo ammetterlo, ho scoperto che non mi conoscevo prima di fare questo cd.
Hai definito la tua musica “snob pop”, ma la tua musica è di denuncia,
tratto caratteristico del rap…
Hai ragione, ma non è una
contraddizione. Il mio ritornello è pop perché è orecchiabile, tuttavia non è
per tutti, per questo snob.
In “Nessuno parla con il cuore” canti “ed io per primo dovrei imparare che mondo
è...”.. Che mondo è, Enrico?
Com’è il mondo per me? È un mondo
piuttosto sciatto, veloce, ma non nel senso sublime del termine. È tutto un
“mordi e fuggi”, un “usa e getta”: il giorno dopo nessuno si ricorda di
nessuno. È molto superficiale e questo non mi piace e io per primo dovrei
imparare. In questo brano parlo anche di intolleranza, perché io stesso ne ho
parecchia e devo migliorare.
Le chitarre di Dave Randall
sono sicuramente un elemento importante che caratterizza tutto l'album. Che
tipo è?...
L'intervista continua qui