lunedì 29 luglio 2013

Intervista al cantante Enrico Bicchi: “Ho scoperto che non mi conoscevo prima di fare questo album”


Sonorità del pop, denuncia del rap: basta poco per evocare Enrico Bicchi ma non per raccontarlo.
Determinato - “Il mio prossimo obiettivo è farmi passare dalle radio”, dice- capisce sin da ragazzino che la musica sarebbe stato il  suo futuro.

Fino all'ultimo respiro” è il suo primo album, un disco visionario improntato sul presente e sul futuro, su un linguaggio inedito. Un romanticismo tutt'altro che banale e su delle sonorità anglosassoni grazie alla collaborazione con più componenti dei Faithless.
Enrico racconta il tormento di un ragazzo di vent’anni che si avvicina ai trenta e che si chiede se davvero vuole crescere.
Alla mano, tuttavia ironico, dalla voce di questo artista al telefono percepisco che il tormento non è finito, che lui è ancora alla ricerca di qualcosa.

Si è raccontato a La Voce in quest’intervista

“Fino all’ultimo respiro” è il tuo primo album. Come mai hai scelto di intitolarlo come un famoso film del regista francese Godard?
Esattamente, il cinema francese è una mia passione, in particolare Godard. Trovo questo film abbia caratteristiche futuristiche, visionarie. Mi ha molto ispirato. L’album è nato proprio quando stavo per lasciare il mondo della musica perché non sapevo più cosa volevo davvero.
Poi ho iniziato a scrivere e mi sembrava di essere credibile, questo è importante.
A Jamie Catto è piaciuto il progetto, mi ha detto: “Lavoriamoci!” e da lì è nato il disco, prendendo ispirazione da Orwell, Bowie e i Verve.
Ci ho messo 3 anni per scriverlo e, devo ammetterlo, ho scoperto che non mi conoscevo prima di fare questo cd.

Hai definito la tua musica “snob pop”, ma la tua musica è di denuncia, tratto caratteristico del rap…
Hai ragione, ma non è una contraddizione. Il mio ritornello è pop perché è orecchiabile, tuttavia non è per tutti, per questo snob.

In “Nessuno parla  con il cuore” canti “ed io per primo dovrei imparare che mondo è...”.. Che mondo è, Enrico?
Com’è il mondo per me? È un mondo piuttosto sciatto, veloce, ma non nel senso sublime del termine. È tutto un “mordi e fuggi”, un “usa e getta”: il giorno dopo nessuno si ricorda di nessuno. È molto superficiale e questo non mi piace e io per primo dovrei imparare. In questo brano parlo anche di intolleranza, perché io stesso ne ho parecchia e devo migliorare.

Le chitarre di Dave Randall sono sicuramente un elemento importante che caratterizza tutto l'album. Che tipo è?...

L'intervista continua qui 

giovedì 25 luglio 2013

Intervista Michele Venitucci, protagonista di “Italian Movies”


Attore di teatro, cinema e televisione, Michele Venitucci diventa noto presso il grande pubblico per la partecipazione alla serie tv  R.I.S. 3 - Delitti imperfetti.
Tra gli altri suoi lavori per il piccolo schermo, ricordiamo le serie tv Diritto di difesa e Codice rosso, debutta nel 2000 con il film Tutto l'amore che c'è del regista Sergio Rubini.
Michele è attualmente al cinema con Italian Movies,  una pellicola corale che disegna un ritratto colorato della nostra società. La commedia, che vede alla regia Matteo Pellegrini, è prodotta da Indiana e distribuita da Eagle Pictures. Il film vanta un cast di attori di diverse nazionalità e racconta di un russo, Mako, un indiano Dilip e un italiano, Ben, interpretato d Venitucci, che lavorano come addetti alle pulizie in uno studio televisivo di proprietà di un cinico imprenditore. Per arrotondare uno stipendio da sottopagati, sfruttano lo studio per creare una piccola casa di produzione video clandestina per la realizzazione di filmati di matrimoni all’interno delle comunità straniere. I video riscuotono inaspettatamente un grandissimo successo che li spinge ad espandersi e gli studi vengono così letteralmente presi d’assalto da personaggi di varie etnie e nazionalità.
Un film che utilizza gli extracomunitari per raccontare il nostro paese, fuggendo i toni drammatici e scegliendo un andamento spensierato con l'idea di penetrare più a fondo del solito.

Italian movies: che storia vuole raccontare questo film?
Il film vuole raccontare in forma leggera, anzi direi tragicomica, una società che sta cambiando, che sta diventando multietnica, e focalizzare l’attenzione su questo aspetto.
È una cosa innovativa perché per la prima volta gli extracomunitari sono al centro della storia e sono personaggi positivi.
Sono l’unico italiano e uso il loro linguaggio per dare voce agli invisibili.

Cosa ti ha fatto dire: “Questo personaggio fa per me”?

La prima volta che ho letto il copione mi sono fatto un'idea e ho trovato il personaggio piccolo, più giovane di me. È stato come fare un piccolo viaggio a ritroso, sai come quando rileggi le pagine di un vecchio diario? Ecco, la sensazione e' stata quella.
Ben è un ragazzo sempre alla ricerca di qualcosa, un po’ come me.


Gli attori del film sono tutti professionisti stranieri che hanno imparato l'italiano, avete lavorato con loro per i personaggi?
Il regista è innamorato degli attori, abbiamo vissuto a Torino tutti insieme ed è stata una bellissima esperienza. Confrontarsi, vedere le differenze tra le lingue è stato formativo per tutti. E dopo una settimana di convivenza, sul set ci è sembrato di giocare!

L'intervista continua qui

mercoledì 10 luglio 2013

Intervista esclusiva al Maestro Marco Sabiu


Marco Sabiu nasce nel 1963 a Forlì, dove tuttora vive. Diplomato in Pianoforte (con Lorenzo Bavaj, pianista di Jose Carreras) al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro dove ha studiato anche Composizione, Marco inizia prestissimo a lavorare nell'industria musicale come tastierista e arrangiatore.
Si trasferisce a Londra, dove vivrà dieci anni, e collabora con artisti dal calibro internazionale.
Dopo molti anni al servizio degli altri artisti decide di fare musica: usando soltanto un piano a coda e un vecchio armonium, registra una collezione di dodici ninne-nanne.
Di recente è uscita una seconda versione dell’album “Charlemagne: By The Sword And The Cross”, intitolata “Charlemagne: The Omens of Death”.

Andate a leggere cosa mi ha raccontato…

Dopo il vasto successo del primo album “Charlemagne: By The Sword And The Cross”, premiato ai Golden Gods Award di Londra 2010, con la voce di Christopher Lee, è appena uscita una seconda versione dell’album. Che ispirazione hai seguito?
In realtà quest’album era già uscito nel 2010, il connubio perfetto tra Wagner e i Metallica! Era molto più sinfonico e gotico, seguiva un po’ l’ispirazione del musical.
Poi sono stati ripresi i pezzi in un disco totalmente heavy metal, con musica arrangiata dal chitarrista dei Judas Priest Richie Faulkner e dato che era più rock della versione precedente, il titolo è cambiato in “Charlemagne: The Omens of Death”.
Il tema è sempre lo stesso, ma visto da due prospettive diverse: la prima più sinfonica, pop-rock, invece quest’ultima è proprio metal pesante, pensata per il pubblico metallaro.
E poi, la chitarra elettrica si sposa alla perfezione con la voce di Christopher Lee.

Durante la prima settimana di uscita, il secondo album è stato no.1 nella classifica ‘metal’ di Amazon, mentre il primo album è stato no.1 nella classifica ‘rock’ di Amazon. Che effetto ti ha fatto?
Essere primo in classifica fa sempre un bell'effetto! Non fa mai male, dà sempre una bella carica. Magari fosse così tutti i mesi… Ma non è facile, tuttavia sono estremamente soddisfatto.

Com’è lavorare con un leggendario attore del calibro di Christopher Lee? So che la sua prima impressione  quando ti ha conosciuto è stata: “Quando ho incontrato il maestro, mi aspettavo un uomo di mezza età dignitoso, invece ho visto questo piccolo, folle italiano, con capelli e pensieri pazzi”…
(Scoppia a ridere, fragorosamente, ndr). Appena lo incontri t’intimorisce! Ero abituato da ragazzino a vederlo nei film e trovarmelo davanti, così alto, mi ha letteralmente tolto il respiro. È carismatico, quando entra in una stanza ti ipnotizza con lo sguardo, è una calamita.

Hai inoltre raggiunto la vetta della classifica di iTunes Classica Italiana due volte, nel 2011 e 2012, in occasione dei suoi album soli di musica crossover “Sabiu No.7” e “Audio ErgoSum”. Due album molto diversi dalla saga "Charlemagne"…
Totalmente! Sono due dischi strumentali, basati sul pianoforte e sull'orchestra, con atmosfere rilassanti: il genere che preferisco. Sono lavori completamente diversi rispetto a "Charlemagne". “Audio ErgoSum” segna l’inizio della collaborazione con il leggendario cantante degli Yes, Jon Anderson, con cui sto lavorando a un nuovo album e un tour insieme per il 2014.

Hai raggiunto vasta fama televisiva partecipando in modo alquanto originale al Sanremo Festival – rompendo violini, strappando frac e lanciando fogli sul palco! – e hai letteralmente rivoluzionato l’immagine del direttore d’orchestra del Festival. Che ricordo hai di quest’esperienza?
Sì, ho scatenato l’inferno! Sono stato catapultato su quel palco con Antonella (Clerici, ndr) che è stata generosa, mi ha dato tanto spazio.
È stata un’esperienza elettrizzante, mi sono divertito molto.
Spero di ripetere quest’esperienza con la stessa conduttrice perché una persona stupenda con cui lavorare! È una donna umanamente grande: è proprio come la vedi, sul palco e nella vita.


Ha collaborato con molti artisti molto importanti, Tanita Tikaram, Perry Blake, Francoise Hardy, Filippa Giordano, Luciano Pavarotti ed Ennio Morricone. Hai qualche aneddoto divertente da raccontarci?...

L'intervista continua qui 

martedì 9 luglio 2013

“Sono arrivata fin qui perché ci credo”. Intervista a Diana Del Bufalo



Compongo il numero. Squilla, attendo. Nessuna risposta.
Riprovo, ancora nulla.
Dopo poco una chiamata. «Pronto, chi è?».
«Ciao, sono Sara di Voce d’Italia… Per l’intervista, sai...»
«Oddio è vero l’intervista! Ma siamo in onda?!»
«No, no tranquilla. Ti disturbo?»
«No guarda, scusami tanto, è che ero a pranzo con il Presidente del Qatar, abbiamo tirato tardi e… Possiamo sentirci tra mezzora? Anzi 40 minuti? No ma forse in mezzora ce la faccio… Ma meglio 40 minuti!»

Così è l’esordio al telefono di Diana Del Bufalo, ex partecipante di “Amici” nel 2010, ora cantante in ascesa. Il suo singolo "BEEP BEEP (A Ha)", che già si appresta a diventare il tormentone dell’estate, è attualmente in rotazione radiofonica e anticipa l’uscita del suo primo album, prevista per l’autunno 2013.
Nell’attesa, sarà inviata speciale nel backstage di “Music Summer Festival –Tezenis Live”.  

Tanto apprezzata quanto osteggiata, Diana è in realtà un’adorabile folle. E l’amerete anche voi dopo aver letto quest’intervista.

Allora Diana, com’è andata con il Presidente del Qatar?
Bene! Guarda, è un amico di mio padre che è archeologo… Io sono una persona ‘caciarona’, per niente formale, lui era tutto silenzioso, mangiava lentamente, io invece mi sono avventata sul piatto, sembrava non mangiassi da un mese!

Con la tua "BEEP BEEP (A Ha) ", vuoi diventare il tormentone dell’estate?
Ma magari!

Come mai hai scelto di cantare in inglese invece che nella tua lingua madre?
Mi fanno in tanti questa domanda. So che in Italia non è apprezzato, mi hanno detto che non si può cercare di fare successo cantando in inglese. Ma io voglio cantare in inglese perché ho frequentato le scuole in lingua inglese, quindi è stata la prima lingua che ho imparato. Quando ero piccola, non riuscivo a parlare in italiano corretto, perché pensavo, in maniera naturale, in inglese. E poi questa lingua mi piace molto.

 “Amici” ti ha dato la notorietà. Cosa ti ha lasciato aver partecipato al talent più famoso e ambito d’Italia?
 Mi ha lasciato tutto! Senza “Amici” non sarei qui a parlare con te, non avrei il mio disco, non avrei fatto nulla di tutto ciò. Ho partecipato al programma per gioco, mi sono detta: “Perché non tentare?” Non avevo nulla da perdere, non pensavo certo che fosse l’unica chance per diventare qualcuno. Dopo “Amici” la vita mi si è stravolta, mi ha aperto molte porte.
Nella vita però è importante avere un obiettivo, ed io ne ho tanti da parecchio tempo. So cosa voglio e per fortuna ho delle colonne portanti alle spalle ovvero i miei genitori: so di poter sempre fare conto su di loro.
Dopo Amici la vita mi si è stravolta, mi ha aperto molte porte.

Molti si chiedevano: Ma Diana ci è o ci fa?!
È vero. Dopo Amici ho ricevuto mail terribili, gente che mi accusava di non sapere cos'è il dolore, ma io sfido a trovare qualcuno che non abbia problemi. Anzi, forse è perché ho sofferto tanto che ora la vita mi sta regalando tante cose belle, io sono entusiasta della vita. Il “ci è o ci fa” non m’interessa. Sembra che io sia molto sicura di me, invece sono timida e per nasconderlo faccio un po’ la matta così se dico qualcosa di sbagliato, la gente pensa: “Tanto si sa che quella è un po’ strana!”. Te lo dico schiettamente: faccio tante di quelle figuracce! Dico sempre qualcosa che non va, quindi ho la scusante di essere un po’ sopra le righe. E funziona!
Se la gente pensa che tu sia stupida, puoi fare quello che vuoi! (ride, ndr.)

Sei ancora in contatto con qualcuno della scuola di “Amici”?
Sì con Costantino Imperatore, eliminato al primo serale. Con lui ho un rapporto speciale, quasi fraterno. Sta lavorando molto in tv a Londra, in teatro a Parigi: sono felice per lui! Mi coccola tantissimo, anche davanti al mio fidanzato, che non è geloso perché sa di che natura è il nostro rapporto. Penso che l’amicizia uomo-donna sia davvero una grande risorsa.
E poi Annalisa (Scarrone, ndr) che è un tesoro! Quando la incontro è sempre calorosa: chi dice che è fredda non ha capito niente! È dolcissima, purtroppo tra i diversi impegni di entrambe è difficile vedersi spesso, ma siamo molto legate.

Poi è arrivato “Mai Dire Amici”… La Gialappa’s ti ha fatto disperare? 
Mi hanno fatto disperare sì!... 

L'intervista continua qui

mercoledì 3 luglio 2013

Intervista “I topi non avevano nipoti”: “Non uniformiamoci per forza al mondo”


I Topi Non Avevano Nipoti ovvero Mattia Pecoraro (voce), Stefano Celano (batteria), Nicolò Pedevilla (chitarre) e Adriano Garello (basso) nascono a Roma, a metà del 2012.

Il loro primo singolo intitolatoLe cavieha per protagonista un disadattato, una persona che non riesce a ritrovarsi nei meccanismi delle regole che ci sono state imposte e vive per questo seguendo il suo ideale di libertà, il cui motto è “Io non lavoro, io non funziono”.

Basta dunque poco per capire che questa band è davvero una voce fuori dal coro.

La parola a Mattia Pecoraro, voce del gruppo.

Come mai  avete scelto un nome così particolare?
È stata una scelta ponderata: era necessario un nome che rimanesse impresso, volevamo sfruttare un gioco di parole.  Abbiamo trovato questo palindromo (parola che, letta procedendo da destra verso sinistra, si mantiene inalterata, ndr), ci siamo trovati subito in accordo quindi  l’abbiamo scelto.

Sia il titolo che il testo del vostro singolo “Le Cavie”, sono quantomeno inusuali. Qual è il messaggio?
Non vogliamo trasmettere un messaggio di anarchia ovvero andare contro tutto e tutti, ma quello di non di uniformarsi per forza al mondo che ci circonda. Il protagonista è al di fuori delle regole e pur essendo visto con diffidenza dagli altri, la sua differenza diventa un punto di forza per distinguersi dalla massa.

Giovanissimi ma tutti con vasta esperienza nel mondo della musica…
Sì, noi avevamo progetti diversi anche perché veniamo da generi differenti. Stefano, Adriano e Nicolò suonavano in un progetto italiano, io invece avevo fatto altre esperienze. Tramite conoscenze comuni ci siamo incontrati, conosciuti e siamo diventati anche un gruppo di amici.

Siete attivi dal 2012. Qual è il bilancio del primo anno?

Possiamo dirci molto soddisfatti. Siamo partiti con i piedi di piombo, il nostro obiettivo era realizzare un buon lavoro ma senza lo stress di dover arrivare chissà dove. L’incontro con Antonio Filippelli, direttore artistico del singolo e degli altri due brani che saranno pubblicati prossimamente, è stato molto importante. Ora abbiamo in programma diversi live, siamo in fase ascendente! Comunque ogni news è pubblicata sul nostro profilo Facebook, quindi basta seguirci per rimanere aggiornati...

L'intervista continua qui