lunedì 2 dicembre 2013

Intervista a Francesco Grillo: “Bisogna rivalorizzare la musica italiana”




Voce bassa, tono umile. Francesco Grillo è oggi un musicista affermato, ma non ha perso la sua semplicità.
Cresciuto in una famiglia di tradizioni musicali, si è diplomato al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e perfezionato successivamente presso le Accademie di Imola e Cremona.

Mi sono ritrovato naturalmente a fare questo mestiere – racconta Francesco – A volte è la vita stessa a dispiegarsi: quando senti un’esigenza così forte, non puoi che assecondarla.
Per fortuna la mia famiglia mi ha sempre sostenuto, in particolare mia madre che ha sempre coadiuvato nelle mie scelte.

“Frame” (Sony Classical) è il nuovo disco del pianista,  14 composizioni inedite per piano solo, dove l’artista celebra musicalmente l’incontro tra tradizione e modernità fondendo il lirismo ed il virtuosismo del pianismo classico con le strutture e le sonorità del jazz:
Questo disco rispecchia profondamente il mio stile personale.  Le composizioni sono fresche, dirette e suonate con il cuore, attraverso stati d'animo sempre diversi: dall'agitato al riflessivo, dall'intimo al grandioso, con varie forme e strutture.
E’ un disco diverso dagli altri, che creavano una sorta di antologia. Ho voluto raccontare solo attraverso il pianoforte le mie storie, ho scritto fino all'ultimo, fino a poco prima della registrazione.

L’artista si è esibito in molti paesi d’Europa, USA, Messico, Giappone e ha lavorato con Stefano Bollani, musicista jazz italiano:
È un meraviglioso, grandissimo artistaha confidato Grillo – Davvero ricco di sfaccettature. Un eccezionale entertainer, dal pensiero rapido.
Ha una grande capacità di calarsi perfettamente al tipo di situazione che sta vivendo, nel lavoro in cui è immerso: riesce a cambiare rimanendo sempre se stesso.

La musica italiana oggi?...

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martedì 12 novembre 2013

Intervista ad Andrea Tarquini. 'Non avrei mai immaginato di fare della musica il mio mestiere'



Domani mercoledì 13 novembre al Memo Restaurant di Milano  il chitarrista e cantante Andrea Tarquini presenterà per la prima volta dal vivo a Milano “REDS! Canzoni di Stefano Rosso” che contiene 10 brani del repertorio del cantautore romano Stefano Rosso, asciugati dalle sonorità anni ’70 ed impreziositi da eleganti arrangiamenti legati alla tradizione musicale nordamericana.
  
In quest’album, la voce e la chitarra di Andrea Tarquini fanno rivivere le storie della Trastevere anni ‘70 raccontate da Stefano Rosso nel corso della sua carriera, riportando a galla perle nascoste del cantautore romano, come l’inedito “C’è un vecchio bar”, brano scritto e composto da Stefano Rosso, ma mai inciso.
La Voce ha intervistato l’artista per voi

“REDS! Canzoni di Stefano Rosso” è il tuo ultimo lavoro. Com’è nato?
Molto del merito va a Luigi Grechi De Gregori. Fu lui a spingermi a fare questo disco. Mi diceva "ma insomma! tu suoni bene la chitarra, sei un buon cantante, suonavi con Stefano Rosso, nessuno come te può ‘entrare’ in quel repertorio con la conoscenza ed il rispetto necessari, cosa aspetti a fare un disco?”
Luigi aveva ragione. Da qui pian piano iniziammo a cercare adesioni e pian piano arrivarono. Quella di Paolo Giovenchi che ha prodotto il disco sul piano artistico, e insieme a Paolo abbiamo sottoposto la nostra idea ad Enrico Campanelli che ha realizzato la produzione sul piano esecutivo. A Campanelli l'idea piacque, quando arrivò il suo "via" siamo partiti. La quantità e la qualità delle adesioni artistiche ricevute è stata una cosa inaspettata.
Quindi seppur con molte fatiche tutto è andato come doveva andare, anzi meglio. Posso dire che l'esperienza ed il talento di Giovenchi è stato speculare alla serietà di Campanelli e della Enriproductions ed insieme sono state speculari a loro volta, tanto alla bellezza dei brani che al mio impegno ed alla serietà di chi ha fatto i suoni del disco.

Come mai sei legato alla tradizione musicale nordamericana?
Principalmente perché da piccolo ascoltai alcuni dischi di folk americano, poi quando fui più grande scoprii che Stefano Rosso suonava quel genere musicale oltre a fare le sue canzoni.
Quando smettemmo di suonare insieme proseguii a fare quella musica allargandomi anche verso generi limitrofi, ma fondamentalmente è ciò che ho sempre fatto.

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giovedì 31 ottobre 2013

Intervista al gruppo musicale Stanley Rubik



L’entità Stanley Rubik nasce nel 2011, a Roma, dall’incontro fra Dario (basso, voce e programming) e Gianluca (chitarra, voci e synth). I due, accomunati dall’interesse trasversale per il rock, le sonorità indie e le contaminazioni elettroniche, iniziano un fertile processo compositivo caratterizzato dal continuo imbastardimento tra gli stilemi del rock d’avanguardia, le sequenze elettroniche e le armonie spesso dissonanti. A loro si aggiunge poco dopo Andrea (batteria e sampler), chiamato ad interpretare il ruolo di collante ritmico. Chiude il cerchio l’ingresso di Domenico (chitarra e synth), grazie al quale la formazione trova il suo equilibrio. “lapubblicaquiete” è il primo lavoro ufficiale della band siamo dunque andati ad intervistarli.

Partiamo dal vostro nome bizzarro! A metà tra il cubo e il regista…
A noi piacciono molto gli incastri. Sia quelli necessari per risolvere il cubo, sia quelli narrativi e visivi che contraddistinguono la cinematografia di Kubrik.. e poi volevamo un nome ironico, che avesse alla fine anche un effetto “buffo” o straniante. Tutto sommato l’incastro (quello tra rock e elettronica) è anche la caratteristica principale della nostra musica – se l’incastro fallisce, il pezzo non riesce, il cubo lo butti dalla finestra, e il protagonista muore!

"lapubblicaquiete" è il vostro EP d’esordio. Volete raccontarci com’è nato questo brano?
L’EP contiene tre brani che sono stati selezionati ad hoc da una base molto più ampia di idee in vari stati di avanzamento, e che ci sembravano i più adatti a rappresentarci in questa precisa fase. Solitamente tutto prende forma da uno scheletro proposto da Dario o Gianluca, molto spesso in forma di sequenza elettronica, che il resto del gruppo si occupa di sporcare e imbastardire con i vecchi strumenti “analogici”.

Che esperienza è stata lavorare con i Velvet?
Senz’altro un’esperienza molto formativa e stimolante. Ci hanno innanzitutto aiutato a capire quale direzione prendere e che tipo di colorazione sonora dare ai brani, inoltre hanno fatto un lavoro di missaggio e produzione pazzesco valorizzando moltissimo il materiale grezzo che avevamo registrato in maniera piuttosto “casareccia”.


Il disco è stato anticipato dal singolo “Pornografia”. A che oscenità vi riferite?...

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mercoledì 23 ottobre 2013

Intervista al gruppo texano Balmorhea



I Balmorhea (pronunciato Bal-More-Ay) sono un sestetto di Austin, Texas, fondato  nel 2006 da Rob Lowe e Michael Muller che suonano chitarra, pianoforte, banjo. Sono poi subentrati Aisha Burns — violino, Dylan Rieck — violoncello, Travis Chapman — contrabbasso e Kendall Clark — percussioni.
La band prende il nome da un piccolo paesino del Texas e proprio come il suo moniker la musica della formazione riflette motivi e immagini del sudovest americano: il folklore texano, i paesaggi montuosi, la solitudine, la natura e la notte, in un sound strumentale, elegante e suggestivo che spazia dal folk, al post-rock, all'avanguardia. Durante gli anni il gruppo ha accolto nuovi membri, tra cui una sezione d'archi e percussioni, che hanno contribuito a rendere la musica dei Balmorhea concisa e complessa al tempo stesso, arricchendo ulteriormente lo spettro sonoro della band.
L'ultimo album dei Balmorhea, “Stranger”, è stato pubblicato nell’Ottobre 2012 da Western Vinyls/Goodfellas.

La Voce li ha intervistati per voi.

Vi sono piaciuti i concerti in Italia?
Gli italiani hanno un posto particolarmente speciale nei nostri cuori. Ogni volta che abbiamo suonato qui la gente ci ha dimostrato calore e affetto.

Com’è nato “Stranger”?
“Stranger” è stato congegnato, scritto e registrato con tempi molto più lunghi rispetto ai nostri lavori precedenti . Vi abbiamo dedicato più tempo rispetto a quelli passati e abbiamo sperimentato con il testo, con processi e il mixing rispetto ad altri album . E’stato registrato in tre studi diversi con tre tecnici diversi e ognuno ha messo a disposizione le proprie tecniche e qualità per rendere “Stranger” la nostra opera più completa.

Come avete scelto di fare musica senza l’uso delle parole?
Non abbiamo mai deciso di essere un gruppo “senza parole” . Ma in qualche modo , i testi e la struttura generale "canzone" non sembrava avere un senso, e comunque il prodotto era qualcosa di forzato, innaturale. Invece le composizioni strumentali si sono sempre sviluppate in maniera naturale.


In che modo il Texas ha influenzato la vostra musica?...

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venerdì 27 settembre 2013

“Siamo ‘Briganti’ moderni”. Intervista Migaso & I Briganti



Una band nata oltralpe, in Francia, ma cresciuta respirando l’aria e la culturale musicale del nostro Paese. Questi, in sintesi sono Migaso & I Briganti.
La natura ambivalente del gruppo si riflette in ogni nota dei brani da loro interamente scritti e prodotti, riuscendo a trovare giusta sintesi tra elettrorock e la tradizione italiana, quello che Migaso, frontman della band, chiama il Blues Calabrese. Abbiamo intervistato proprio lui, in seguito all’uscita del loro secondo album “Luminescenza”.

Come avete scelto il vostro nome?

“Migaso” è un segreto che custodisco preziosamente...
Per quanto riguarda invece i “Briganti”, ho battezzato la mia band in tal modo perché penso che più che mai oggi la nostra società abbia bisogno di gente che possa difenderla e si prenda cura della libertà di espressione, argomento di cui parlo continuamente nelle mie canzoni. Siamo “Briganti” moderni nel senso che, in questi tempi difficili e di crisi, siamo messaggeri portatori di speranza e di valori oramai persi.
                                                                                                                                
Da che ispirazione è nato questo vostro secondo album “Luminescenza”?

A parte il fatto che sono un appassionato di filosofia e di simbolica, direi che l'ispirazione per  “Luminescenza” proviene dagli eventi della mia vita e dall’ attualità mondiale. Siamo tutti immersi in un sistema nel quale l’informazione ci attraversa in tutti i sensi 24 ore su 24 e inconsciamente o coscientemente ognuno di noi esprime la sua opinione. Io ho scelto la musica come terapia e “Luminescenza” materializza queste mie emozioni e questi miei pensieri.

Come vi siete conosciuti e quando avete deciso di lavorare insieme?

E’ stato un lungo percorso nel quale ho avuto modo di incontrare molta gente. Lungo il cammino ho conosciuto tanti musicisti con i quali ho condiviso molte esperienze e punti di vista. Alcuni sono rimasti al mio fianco, altri hanno seguito strade diverse. Il line up oggi è composto da 4 Briganti : Tew, alle tastiere, MPC, computers e seconda chitarra, un vero multi strumentista; Nko al basso e backing vocals, una persona con un cuore enorme; Bam, alla Batteria, è l’ultimo arrivato nella Band, viene da Montreal, in Québec, e ci arricchisce con il suo modo di suonare molto US; infine io, canto in Italiano e suono la chitarra.

Cosa si dice in Francia di voi?


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venerdì 20 settembre 2013

Intervista a Robb Cole: “Voglio migliorare sempre”



Robb Cole, nome d’arte di Roberto Colonna, è cantante, cantautore, ballerino e designer. Dopo l’uscita del suo primo album  "Ecco l'estate", ha avuto modo di collaborare con grandi artisti come Fiordaliso, Mino Reitano, Enrico Ruggeri, I Nomadi, solo per citarne alcuni.
A ottobre uscirà il suo prossimo singolo «The Rhythm Of Life» siamo andati a chiedere qualche anticipazione…

Sei svizzero con origini italiane, eppure hai scelto un nome d’arte. Come mai?
Il primo album è uscito con il mio nome di battesimo: Roberto Colonna. In seguito, volendo percorrere un altro traguardo cioè cantare anche in inglese per oltrepassare il confine, era necessario un nome più adatto, cosi  con il mio produttore di allora e il mio socio dalla Rc-Music Records, decidemmo di usare un nome d’arte usando i diminutivi del mio nome. Così è nato Robb Cole.

Quando e come hai iniziato a cantare?
Ho iniziato prestissimo, già a 5 anni quando alla domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, la risposta era sempre la stessa: “Il cantante”.
La mia prima esibizione su un palco risale ai 12 anni, se non ricordo male, in un locale piccolo. Stavo suonando il violino insieme ai compagni della scuola di musica e dopo il concerto, mi hanno fatto cantare un brano.
Dopo di quell’esibizione non ho più lasciato il canto, ho iniziato a prendere parte a vari concorsi sia in Svizzera che in Italia  con brani editi di artisti già di fama. Adoro la scarica di adrenalina che ho quando salgo sul palco! Inoltre mi sono messo a studiare il canto classico che mi ha sempre affascinato cantando anche in vari piccoli Musical: voglio migliorare sempre.

Però sei anche ballerino e designer…
Sì, mi piace il ballo e sul palco voglio sempre dare il meglio. Per un brani dance vuole anche uno show, perciò il ballo è fondamentale per poter intrattenere il pubblico al massimo durante un concerto: è a ciò a cui tengo di più.
Potrei definirmi un “designer per caso”, dato che al mio primo trasloco volevo dei mobili che non si trovavo da nessuna parte, cosi mi sono messo a disegnare ciò che volevo.
Poi mio padre che è falegname di professione, li ha costruiti.
 Ho riscosso un discreto successo e ho continuato creando una Linea di gioielli e ultimamente dei Quadri Digital Art Design.
Mi piace perché mi rilassa e mi aiuta a  trovare il giusto equilibro.


Il tuo prossimo singolo “The Rhythm Of Life “ uscirà in ottobre. Vuoi anticiparci qualcosa?

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venerdì 13 settembre 2013

Intervista al duo Taurina Bros




I Taurina Bros nascono dal duo Hip Hop italiano “Fratelli Taurina” con Darius (Dario Genovesi) e Scanderbraus (Lorenzo Maggiani), fondato nel 2007 dal rincontro di due amici d’infanzia con percorsi di vita ed esperienze musicali diverse.
Scanderbraus ha il suo primo approccio con la musica da piccolissimo quando prende lezioni di violino.
Crescendo, il suo interesse per le note si focalizza soprattutto sull’ascolto e la sua conoscenza musicale matura grazie ai numerosi viaggi in tutto il mondo e al lungo periodo trascorso in Inghilterra, dove è venuto a contatto con la realtà underground Londinese.
Durante gli anni ’90, Darius segue con passione l’evoluzione del Rap italiano, inaugurando la sua carriera da rapper proprio nel ’98 con un freestyle sopra un groove di Dj-Jad, sul palco di uno dei concerti degli Articolo 31 durante il loro tour “Nessuno”.
Il loro primo album “Viaggio Famelico” è uscito nel mese di giugno 2013, distribuito da House of Glass Production e Baby Angel.

Come nasce il nome Taurina Bros?

Come saprai la taurina è una sostanza eccitante contenuta negli energie drink. Diciamo che ne abbiamo fatto un discreto uso per ricaricare le batterie durante le sessioni live e studio più stancanti. Bros è un altro modo di dire crew, famiglia, fratelli. Ci piace molto il nostro nome.

Su che ispirazione nasce questo vostro primo album “Viaggio Famelico” ?
Sicuramente non c'è stata una singola fonte di ispirazione. In questo album ci sono brani interamente partoriti quest'anno e nell'anno scorso, ma ci sono anche testi scritti quattro o cinque anni fa per cui risulta difficile parlare di un unico filo conduttore. Abbiamo scritto brani più impegnati come "Il cielo sopra Baghdad" e "Alice 2000", ma anche leggeri e divertenti come "L'animale" o "Viaggio Famelico".  Possiamo delineare però un messaggio: viaggio famelico è un inno alla vitalità, l'infinito appetito di una vita assurda e cannibale, se non sarai tu il primo a mordere lo farà lei. Mangia o verrai mangiato, saziati della vita e di tutti i suoi aspetti, delle bellezze come delle crudeltà.


Sonorità  rap e dubstep farcito di suoni rock, electro, dance ma anche pop. Come mai mixate generi tanto diversi?

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mercoledì 7 agosto 2013

Intervista a Sarah Jane Olog. “Sono cresciuta a pane e blues”



“L’angelo bianco dalla voce nera” è il suo soprannome da quando era piccola. Da allora ne ha fatta di strada Sarahjane Olog, ma possiamo ancora chiamarla così.
Cantante e cantautrice italiana, nasce a Rimini il 26 febbraio 1984.
Lanciata da Maria De Filippi ad “Amici” ed esplosa come vocalist della resident band di Supermax, il programma di Max Giusti e Francesca Zanni su Radio2, Sarahjane Olog esce oggi con il suo nuovo singolo, “Telling on you” 

È  in rotazione radiofonica “Telling on you”, il tuo singolo. Com’è nato?
È nato semplicemente da un’amicizia con i Jutty Ranx perché abbiamo collaborato insieme a Radio 2.
Dopo aver cantato insieme, sono rimasti colpiti dalla mia voce ed è iniziata un rapporto di lavoro prima e un’ amicizia poi: ci sentiamo tutti i giorni.

Il brano è stato scritto da Justin Taylor, leader della band americana Jutty Ranx. Com’è stato lavorare con lui?
L’ha scritto apposta per me anche perché Jakko, il bassista della band mi ha detto è la prima volta che regala la sua canzone a qualcuno. Lo chiamano anche molte case discografiche in America perché lo considerano un autore molto bravo ma non ne ha mai voluto sapere. Invece per me ha fatto un’eccezione, e questo mi fa ancora più contenta.

Il brano è stato registrato a Los Angeles, che aria si respira negli States?
Bhe, diciamo che si respira! (ride, ndr). È come tornare a casa: per me l’America è una seconda dimora. Facendo il mio genere, R’n’B, soul, blues,  là mi sento sicuramente più a mio agio. Poi si respira un’energia diversa  e questo mi facilita anche nel comporre la musica.


Con “Amici” sei diventata famosa…

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giovedì 1 agosto 2013

Intervista ad Amanda Lear.“Sto molto meglio da quando dipingo”



Attrice, modella, popstar, e anche pittrice. Questa è Amanda Lear, che ieri ha inaugurato alla "Milano Art Gallery Spazio Culturale" la sua mostra “Visioni” organizzata dal manager Salvo Nugnes Direttore di Promoter Arte.

Affascinante, poliedrica, Amanda ha fatto perno sull'ambiguità per far parlare di sé, diventando così una delle icone gay più acclamate.
In un abito nero, che l’avvolge facendo esaltare il suo fisico asciutto e scattante, Amanda ha occhi magnetici che ipnotizzano l’interlocutore.
Il mondo della Lear si riflette nelle sue opere, che sono l'intima visione di una donna di fama internazionale, lo stile unico e inconfondibile ha come fondamento portante l’originalità di una pittura, che ama uscire dagli schemi tradizionali.

Si va dall'atmosfera da sogno di Paysage all'ironia di Angelo custode dalle forme femminili e con ali di pastello e profilattici. Non mancano i ritratti -tra cui quello di Jimi Hendrix, con  cui la Lear ha vissuto per un breve periodo – e nudi di donna.
Dalla sua pittura emerge l’Amanda che non conosciamo, che non si palesa mai. Accantonata l’immagine di donna forte e spumeggiante, la tela rivela il suo animo fragile e complesso in una visione onirica.

“Mi vergogno quando devo esporre i miei quadri” -  ha confessato -“Divento improvvisamente timida perché realizzo che tutti possono giudicarmi. E' come fare leggere a tutti il proprio diario segreto, perché attraverso la pittura esprimo tutte le mie emozioni”.
“Non sto cercando di passare alla storia, certo sarebbe bello ma… Nel mondo dello spettacolo non penso di aver lasciato un segno indelebile”

Preferisce lasciare un segno con l’arte, quindi?
“Voilà, assolutamente! Il mio lavoro è stressante: si sta sempre in mezzo alla gente e alla confusione, ho molti colleghi che si drogano, vanno in analisi o  fanno l’uncinetto… Io invece dipingo perché penso che la pittura aiuti a stare bene. Puoi esprimere tutte le emozioni: rabbia, frustrazione, violenza, sesso, libidine. È come una catarsi. Tenere tutto dentro fa male!
Ho visitato l’ospedale psichiatrico dove era rinchiuso Van Gogh e ho visto che i pazienti disegnano e dipingono. Riescono a esprimere sulla carta il disagio che provano, le emozioni che hanno: organizzo tutti gli anni una mostra dei loro quadri
Mi rendo conto che sto molto meglio da quando dipingo e ancora di più da quando faccio teatro: calandomi nei panni di un personaggio do voce ad emozioni che non sapevo neanche di avere. (L’artista si sta preparando al debutto di “Divina”, una commedia in cui interpreta una diva della tv in declino, ndr)”

È vero che la solitudine non la spaventa?

“Adoro la solitudine. Il panico da tela bianca assale anche me, ma passato quel momento inizio a creare, sola con la mia arte...

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lunedì 29 luglio 2013

Intervista al cantante Enrico Bicchi: “Ho scoperto che non mi conoscevo prima di fare questo album”


Sonorità del pop, denuncia del rap: basta poco per evocare Enrico Bicchi ma non per raccontarlo.
Determinato - “Il mio prossimo obiettivo è farmi passare dalle radio”, dice- capisce sin da ragazzino che la musica sarebbe stato il  suo futuro.

Fino all'ultimo respiro” è il suo primo album, un disco visionario improntato sul presente e sul futuro, su un linguaggio inedito. Un romanticismo tutt'altro che banale e su delle sonorità anglosassoni grazie alla collaborazione con più componenti dei Faithless.
Enrico racconta il tormento di un ragazzo di vent’anni che si avvicina ai trenta e che si chiede se davvero vuole crescere.
Alla mano, tuttavia ironico, dalla voce di questo artista al telefono percepisco che il tormento non è finito, che lui è ancora alla ricerca di qualcosa.

Si è raccontato a La Voce in quest’intervista

“Fino all’ultimo respiro” è il tuo primo album. Come mai hai scelto di intitolarlo come un famoso film del regista francese Godard?
Esattamente, il cinema francese è una mia passione, in particolare Godard. Trovo questo film abbia caratteristiche futuristiche, visionarie. Mi ha molto ispirato. L’album è nato proprio quando stavo per lasciare il mondo della musica perché non sapevo più cosa volevo davvero.
Poi ho iniziato a scrivere e mi sembrava di essere credibile, questo è importante.
A Jamie Catto è piaciuto il progetto, mi ha detto: “Lavoriamoci!” e da lì è nato il disco, prendendo ispirazione da Orwell, Bowie e i Verve.
Ci ho messo 3 anni per scriverlo e, devo ammetterlo, ho scoperto che non mi conoscevo prima di fare questo cd.

Hai definito la tua musica “snob pop”, ma la tua musica è di denuncia, tratto caratteristico del rap…
Hai ragione, ma non è una contraddizione. Il mio ritornello è pop perché è orecchiabile, tuttavia non è per tutti, per questo snob.

In “Nessuno parla  con il cuore” canti “ed io per primo dovrei imparare che mondo è...”.. Che mondo è, Enrico?
Com’è il mondo per me? È un mondo piuttosto sciatto, veloce, ma non nel senso sublime del termine. È tutto un “mordi e fuggi”, un “usa e getta”: il giorno dopo nessuno si ricorda di nessuno. È molto superficiale e questo non mi piace e io per primo dovrei imparare. In questo brano parlo anche di intolleranza, perché io stesso ne ho parecchia e devo migliorare.

Le chitarre di Dave Randall sono sicuramente un elemento importante che caratterizza tutto l'album. Che tipo è?...

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giovedì 25 luglio 2013

Intervista Michele Venitucci, protagonista di “Italian Movies”


Attore di teatro, cinema e televisione, Michele Venitucci diventa noto presso il grande pubblico per la partecipazione alla serie tv  R.I.S. 3 - Delitti imperfetti.
Tra gli altri suoi lavori per il piccolo schermo, ricordiamo le serie tv Diritto di difesa e Codice rosso, debutta nel 2000 con il film Tutto l'amore che c'è del regista Sergio Rubini.
Michele è attualmente al cinema con Italian Movies,  una pellicola corale che disegna un ritratto colorato della nostra società. La commedia, che vede alla regia Matteo Pellegrini, è prodotta da Indiana e distribuita da Eagle Pictures. Il film vanta un cast di attori di diverse nazionalità e racconta di un russo, Mako, un indiano Dilip e un italiano, Ben, interpretato d Venitucci, che lavorano come addetti alle pulizie in uno studio televisivo di proprietà di un cinico imprenditore. Per arrotondare uno stipendio da sottopagati, sfruttano lo studio per creare una piccola casa di produzione video clandestina per la realizzazione di filmati di matrimoni all’interno delle comunità straniere. I video riscuotono inaspettatamente un grandissimo successo che li spinge ad espandersi e gli studi vengono così letteralmente presi d’assalto da personaggi di varie etnie e nazionalità.
Un film che utilizza gli extracomunitari per raccontare il nostro paese, fuggendo i toni drammatici e scegliendo un andamento spensierato con l'idea di penetrare più a fondo del solito.

Italian movies: che storia vuole raccontare questo film?
Il film vuole raccontare in forma leggera, anzi direi tragicomica, una società che sta cambiando, che sta diventando multietnica, e focalizzare l’attenzione su questo aspetto.
È una cosa innovativa perché per la prima volta gli extracomunitari sono al centro della storia e sono personaggi positivi.
Sono l’unico italiano e uso il loro linguaggio per dare voce agli invisibili.

Cosa ti ha fatto dire: “Questo personaggio fa per me”?

La prima volta che ho letto il copione mi sono fatto un'idea e ho trovato il personaggio piccolo, più giovane di me. È stato come fare un piccolo viaggio a ritroso, sai come quando rileggi le pagine di un vecchio diario? Ecco, la sensazione e' stata quella.
Ben è un ragazzo sempre alla ricerca di qualcosa, un po’ come me.


Gli attori del film sono tutti professionisti stranieri che hanno imparato l'italiano, avete lavorato con loro per i personaggi?
Il regista è innamorato degli attori, abbiamo vissuto a Torino tutti insieme ed è stata una bellissima esperienza. Confrontarsi, vedere le differenze tra le lingue è stato formativo per tutti. E dopo una settimana di convivenza, sul set ci è sembrato di giocare!

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mercoledì 10 luglio 2013

Intervista esclusiva al Maestro Marco Sabiu


Marco Sabiu nasce nel 1963 a Forlì, dove tuttora vive. Diplomato in Pianoforte (con Lorenzo Bavaj, pianista di Jose Carreras) al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro dove ha studiato anche Composizione, Marco inizia prestissimo a lavorare nell'industria musicale come tastierista e arrangiatore.
Si trasferisce a Londra, dove vivrà dieci anni, e collabora con artisti dal calibro internazionale.
Dopo molti anni al servizio degli altri artisti decide di fare musica: usando soltanto un piano a coda e un vecchio armonium, registra una collezione di dodici ninne-nanne.
Di recente è uscita una seconda versione dell’album “Charlemagne: By The Sword And The Cross”, intitolata “Charlemagne: The Omens of Death”.

Andate a leggere cosa mi ha raccontato…

Dopo il vasto successo del primo album “Charlemagne: By The Sword And The Cross”, premiato ai Golden Gods Award di Londra 2010, con la voce di Christopher Lee, è appena uscita una seconda versione dell’album. Che ispirazione hai seguito?
In realtà quest’album era già uscito nel 2010, il connubio perfetto tra Wagner e i Metallica! Era molto più sinfonico e gotico, seguiva un po’ l’ispirazione del musical.
Poi sono stati ripresi i pezzi in un disco totalmente heavy metal, con musica arrangiata dal chitarrista dei Judas Priest Richie Faulkner e dato che era più rock della versione precedente, il titolo è cambiato in “Charlemagne: The Omens of Death”.
Il tema è sempre lo stesso, ma visto da due prospettive diverse: la prima più sinfonica, pop-rock, invece quest’ultima è proprio metal pesante, pensata per il pubblico metallaro.
E poi, la chitarra elettrica si sposa alla perfezione con la voce di Christopher Lee.

Durante la prima settimana di uscita, il secondo album è stato no.1 nella classifica ‘metal’ di Amazon, mentre il primo album è stato no.1 nella classifica ‘rock’ di Amazon. Che effetto ti ha fatto?
Essere primo in classifica fa sempre un bell'effetto! Non fa mai male, dà sempre una bella carica. Magari fosse così tutti i mesi… Ma non è facile, tuttavia sono estremamente soddisfatto.

Com’è lavorare con un leggendario attore del calibro di Christopher Lee? So che la sua prima impressione  quando ti ha conosciuto è stata: “Quando ho incontrato il maestro, mi aspettavo un uomo di mezza età dignitoso, invece ho visto questo piccolo, folle italiano, con capelli e pensieri pazzi”…
(Scoppia a ridere, fragorosamente, ndr). Appena lo incontri t’intimorisce! Ero abituato da ragazzino a vederlo nei film e trovarmelo davanti, così alto, mi ha letteralmente tolto il respiro. È carismatico, quando entra in una stanza ti ipnotizza con lo sguardo, è una calamita.

Hai inoltre raggiunto la vetta della classifica di iTunes Classica Italiana due volte, nel 2011 e 2012, in occasione dei suoi album soli di musica crossover “Sabiu No.7” e “Audio ErgoSum”. Due album molto diversi dalla saga "Charlemagne"…
Totalmente! Sono due dischi strumentali, basati sul pianoforte e sull'orchestra, con atmosfere rilassanti: il genere che preferisco. Sono lavori completamente diversi rispetto a "Charlemagne". “Audio ErgoSum” segna l’inizio della collaborazione con il leggendario cantante degli Yes, Jon Anderson, con cui sto lavorando a un nuovo album e un tour insieme per il 2014.

Hai raggiunto vasta fama televisiva partecipando in modo alquanto originale al Sanremo Festival – rompendo violini, strappando frac e lanciando fogli sul palco! – e hai letteralmente rivoluzionato l’immagine del direttore d’orchestra del Festival. Che ricordo hai di quest’esperienza?
Sì, ho scatenato l’inferno! Sono stato catapultato su quel palco con Antonella (Clerici, ndr) che è stata generosa, mi ha dato tanto spazio.
È stata un’esperienza elettrizzante, mi sono divertito molto.
Spero di ripetere quest’esperienza con la stessa conduttrice perché una persona stupenda con cui lavorare! È una donna umanamente grande: è proprio come la vedi, sul palco e nella vita.


Ha collaborato con molti artisti molto importanti, Tanita Tikaram, Perry Blake, Francoise Hardy, Filippa Giordano, Luciano Pavarotti ed Ennio Morricone. Hai qualche aneddoto divertente da raccontarci?...

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martedì 9 luglio 2013

“Sono arrivata fin qui perché ci credo”. Intervista a Diana Del Bufalo



Compongo il numero. Squilla, attendo. Nessuna risposta.
Riprovo, ancora nulla.
Dopo poco una chiamata. «Pronto, chi è?».
«Ciao, sono Sara di Voce d’Italia… Per l’intervista, sai...»
«Oddio è vero l’intervista! Ma siamo in onda?!»
«No, no tranquilla. Ti disturbo?»
«No guarda, scusami tanto, è che ero a pranzo con il Presidente del Qatar, abbiamo tirato tardi e… Possiamo sentirci tra mezzora? Anzi 40 minuti? No ma forse in mezzora ce la faccio… Ma meglio 40 minuti!»

Così è l’esordio al telefono di Diana Del Bufalo, ex partecipante di “Amici” nel 2010, ora cantante in ascesa. Il suo singolo "BEEP BEEP (A Ha)", che già si appresta a diventare il tormentone dell’estate, è attualmente in rotazione radiofonica e anticipa l’uscita del suo primo album, prevista per l’autunno 2013.
Nell’attesa, sarà inviata speciale nel backstage di “Music Summer Festival –Tezenis Live”.  

Tanto apprezzata quanto osteggiata, Diana è in realtà un’adorabile folle. E l’amerete anche voi dopo aver letto quest’intervista.

Allora Diana, com’è andata con il Presidente del Qatar?
Bene! Guarda, è un amico di mio padre che è archeologo… Io sono una persona ‘caciarona’, per niente formale, lui era tutto silenzioso, mangiava lentamente, io invece mi sono avventata sul piatto, sembrava non mangiassi da un mese!

Con la tua "BEEP BEEP (A Ha) ", vuoi diventare il tormentone dell’estate?
Ma magari!

Come mai hai scelto di cantare in inglese invece che nella tua lingua madre?
Mi fanno in tanti questa domanda. So che in Italia non è apprezzato, mi hanno detto che non si può cercare di fare successo cantando in inglese. Ma io voglio cantare in inglese perché ho frequentato le scuole in lingua inglese, quindi è stata la prima lingua che ho imparato. Quando ero piccola, non riuscivo a parlare in italiano corretto, perché pensavo, in maniera naturale, in inglese. E poi questa lingua mi piace molto.

 “Amici” ti ha dato la notorietà. Cosa ti ha lasciato aver partecipato al talent più famoso e ambito d’Italia?
 Mi ha lasciato tutto! Senza “Amici” non sarei qui a parlare con te, non avrei il mio disco, non avrei fatto nulla di tutto ciò. Ho partecipato al programma per gioco, mi sono detta: “Perché non tentare?” Non avevo nulla da perdere, non pensavo certo che fosse l’unica chance per diventare qualcuno. Dopo “Amici” la vita mi si è stravolta, mi ha aperto molte porte.
Nella vita però è importante avere un obiettivo, ed io ne ho tanti da parecchio tempo. So cosa voglio e per fortuna ho delle colonne portanti alle spalle ovvero i miei genitori: so di poter sempre fare conto su di loro.
Dopo Amici la vita mi si è stravolta, mi ha aperto molte porte.

Molti si chiedevano: Ma Diana ci è o ci fa?!
È vero. Dopo Amici ho ricevuto mail terribili, gente che mi accusava di non sapere cos'è il dolore, ma io sfido a trovare qualcuno che non abbia problemi. Anzi, forse è perché ho sofferto tanto che ora la vita mi sta regalando tante cose belle, io sono entusiasta della vita. Il “ci è o ci fa” non m’interessa. Sembra che io sia molto sicura di me, invece sono timida e per nasconderlo faccio un po’ la matta così se dico qualcosa di sbagliato, la gente pensa: “Tanto si sa che quella è un po’ strana!”. Te lo dico schiettamente: faccio tante di quelle figuracce! Dico sempre qualcosa che non va, quindi ho la scusante di essere un po’ sopra le righe. E funziona!
Se la gente pensa che tu sia stupida, puoi fare quello che vuoi! (ride, ndr.)

Sei ancora in contatto con qualcuno della scuola di “Amici”?
Sì con Costantino Imperatore, eliminato al primo serale. Con lui ho un rapporto speciale, quasi fraterno. Sta lavorando molto in tv a Londra, in teatro a Parigi: sono felice per lui! Mi coccola tantissimo, anche davanti al mio fidanzato, che non è geloso perché sa di che natura è il nostro rapporto. Penso che l’amicizia uomo-donna sia davvero una grande risorsa.
E poi Annalisa (Scarrone, ndr) che è un tesoro! Quando la incontro è sempre calorosa: chi dice che è fredda non ha capito niente! È dolcissima, purtroppo tra i diversi impegni di entrambe è difficile vedersi spesso, ma siamo molto legate.

Poi è arrivato “Mai Dire Amici”… La Gialappa’s ti ha fatto disperare? 
Mi hanno fatto disperare sì!... 

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mercoledì 3 luglio 2013

Intervista “I topi non avevano nipoti”: “Non uniformiamoci per forza al mondo”


I Topi Non Avevano Nipoti ovvero Mattia Pecoraro (voce), Stefano Celano (batteria), Nicolò Pedevilla (chitarre) e Adriano Garello (basso) nascono a Roma, a metà del 2012.

Il loro primo singolo intitolatoLe cavieha per protagonista un disadattato, una persona che non riesce a ritrovarsi nei meccanismi delle regole che ci sono state imposte e vive per questo seguendo il suo ideale di libertà, il cui motto è “Io non lavoro, io non funziono”.

Basta dunque poco per capire che questa band è davvero una voce fuori dal coro.

La parola a Mattia Pecoraro, voce del gruppo.

Come mai  avete scelto un nome così particolare?
È stata una scelta ponderata: era necessario un nome che rimanesse impresso, volevamo sfruttare un gioco di parole.  Abbiamo trovato questo palindromo (parola che, letta procedendo da destra verso sinistra, si mantiene inalterata, ndr), ci siamo trovati subito in accordo quindi  l’abbiamo scelto.

Sia il titolo che il testo del vostro singolo “Le Cavie”, sono quantomeno inusuali. Qual è il messaggio?
Non vogliamo trasmettere un messaggio di anarchia ovvero andare contro tutto e tutti, ma quello di non di uniformarsi per forza al mondo che ci circonda. Il protagonista è al di fuori delle regole e pur essendo visto con diffidenza dagli altri, la sua differenza diventa un punto di forza per distinguersi dalla massa.

Giovanissimi ma tutti con vasta esperienza nel mondo della musica…
Sì, noi avevamo progetti diversi anche perché veniamo da generi differenti. Stefano, Adriano e Nicolò suonavano in un progetto italiano, io invece avevo fatto altre esperienze. Tramite conoscenze comuni ci siamo incontrati, conosciuti e siamo diventati anche un gruppo di amici.

Siete attivi dal 2012. Qual è il bilancio del primo anno?

Possiamo dirci molto soddisfatti. Siamo partiti con i piedi di piombo, il nostro obiettivo era realizzare un buon lavoro ma senza lo stress di dover arrivare chissà dove. L’incontro con Antonio Filippelli, direttore artistico del singolo e degli altri due brani che saranno pubblicati prossimamente, è stato molto importante. Ora abbiamo in programma diversi live, siamo in fase ascendente! Comunque ogni news è pubblicata sul nostro profilo Facebook, quindi basta seguirci per rimanere aggiornati...

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giovedì 27 giugno 2013

kuTso, che musica! Intervista al gruppo musicale kuTso



Eccoli, sono i kuTso. Come si legge, direte voi? Non sarà mica come… E invece sì, avete indovinato. Si pronuncia proprio come la parolaccia che non si dovrebbe dire. Ma loro vogliono sdoganare ogni tabù.
La band rivelazione Indie-Rock di Roma, che ha pubblicato recentemente l’album “DECADENDO (su un materasso sporco)”, è composta da Matteo Gabbianelli (vox), Luca Amendola (basso/vox), Donatello Giorgi (chitarra/vox), Simone Bravi (batteria/vox).
Stravaganti e divertenti, La Voce ha intervistato per voi Matteo Gabbianelli, voce del gruppo.
Parlatemi dell’origine del vostro nome, come l’avete scelto?
Innanzitutto... Sai come si pronuncia? (ride,ndr). Era il modo in cui lasciavo la mia traccia sui banchi al liceo. Quando è nato all’inizio era un gioco, poi è rimasto per anni, quindi perché no? All’inizio non avevamo un intento provocatorio, ma ci faceva solo sorridere, sebbene abbia fatto storcere il naso a qualche addetto ai lavori.
Ci piace avere un nome che elimini i tabù! E iniziando così l’intervista in questo modo, con kuTso, tutto il resto è in discesa! (ride, ndr)
Avete recentemente pubblicato “Decadendo (su un materasso sporco)”. Come è nato questo disco?
Il disco contiene 12 brani che riassumono il nostro lavoro in una arco temporale di 7 anni. Non abbiamo mai avuto l’esigenza di fare un disco, anche perché siamo figli del nostro tempo: l’album ha perso di significato per la gente che ne fruisce. Per noi non era importante autoprodurci un disco, l’avremmo fatto solo se una  struttura si fosse occupata dei costi e della produzione. L’abbiamo trovata e abbiamo capito che per far partire la promozione doveva esserci un’uscita.
Da molti anni componiamo registriamo e mettiamo on line, ormai ci sono più di 30 canzoni che girano!

Quando avete cominciato a fare musica?
Ci siamo conosciuti grazie alla musica! Suoniamo da anni ognuno per conto proprio, il progetto l’ho creato io: è iniziato parallelo ad altre cose, finché è diventato la più importante. Ho trovato persone serie e professionali come meche hanno sposato questa causa.

Con quali artisti vi piacerebbe collaborare?
Noi vantiamo già una serie di collaborazioni scaturite da amicizie che abbiamo nel mondo della musica come Fabrizio Moro, Pierluigi dei Velvet, i Nobraino… Abbiamo giocato sul brano “Aiutatemi!”: l’’abbiamo reso un gioco dove abbiamo coinvolto diversi artisti e ognuno ha contribuito.
Per il resto, non ho miti e non sono un fanatico della musica...

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mercoledì 26 giugno 2013

Intervista Ekat Bork, l’artista russa che canta la vita





Ekat Bork è una cantautrice russa dall'anima rock con influenze elettroniche. A 16 anni abbandona la famiglia e parte da sola per San Pietroburgo dove comincia a cantare le proprie canzoni per le strade. Nel 2007 si trasferisce prima in Svizzera e poi in Italia, dove ha modo di conoscere nuovi mondi musicali e di arrivare alla creazione del suo album d'esordio, “Veramellious”.
Occhi chiari, capelli biondi, Ekat (al secolo Ekaterina Borkova) sembra uscita da un mondo di fiabe dove lei è indubbiamente la principessa. Dai suoi brani emerge il prepotente desiderio di creare l’irreale forse perché a volte anche lei,  come accade a molti di noi, ha il desiderio di evadere da una realtà da cui ci sentiamo sopraffatti.

La Voce ha raccolto le sue impressioni dopo l’uscita dell’album.

“Veramellious” è il tuo album di esordio. Quando hai capito che volevi fare musica?
 Sognavo questo momento da quando ero piccola. Un giorno la mia nonnina mi mise in piedi su una sedia e mi chiese di cantare per  i suoi ospiti. Quella sedia oggi è diventata il mio palco.
Poi da piccola non avevamo tanti soldi per comprare i dischi e non c’erano né televisione, né radio. Non avevo praticamente nessun punto di riferimento, questo mi ha permesso di tenere la mente libera. Conoscevo solo la musica classica e la musica folkloristica russa. Invece quando sono arrivata qui ho scoperto tutto un altro mondo.

Vuoi parlarci un po’ dei brani del tuo album?
Il titolo del mio album “Veramellious” nasce da un mio errore d’italiano. Lo faccio sempre. Invece di dire “meraviglioso”, dico “ veramiglioso”. Poi con un tocco di creatività, messo in inglese (marvelous) darebbe “Veravelous” e latinizzato per renderlo più fiabesco diventa infine “veramellious” che rispecchia perfettamente il tema del mio album.
Nelle mie canzoni mi piace raccontare la vita e i sogni dove ogni uno di noi può specchiarsi. Affronto  anche temi seri come la fame e la povertà, il bisogno d’affetto, il desiderio di libertà, il sogno e l’evasione dalla realtà, la passione e l’amore, la rabbia e la ribellione, la speranza, l’accettazione di noi stessi e delle nostre debolezze.

Quanto ha influito il tuo vissuto personale sul tuo modo di fare musica?
 Quando vivi una vita dove devi farti da sola forse hai più cose tue da raccontare.

Pensi che la bellezza possa aiutare a emergere nel tuo settore?
Certamente può aiutare, ma da sola non basta. È sicuramente più importante la bellezza interiore, anche se purtroppo nella società odierna spesso conta più l’apparire dell’essere.


Apprezzi la musica italiana? Quale artista in particolare?...

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giovedì 20 giugno 2013

Intervista alla band Herman Medrano and The Groovy Monkeys



Presente nella scena musicale veneta da quasi  vent'anni, Herman Medrano è conosciuto per le sue rime graffianti in dialetto padovan-veneziano. 
Con gli anni non ha mai cambiato il suo approccio, ma ha via via consolidato la sua materia e ispessito la voce, non solo per raccontare come siamo fatti, ma soprattutto per denunciare il marcio che caratterizza molti strati della società contemporanea. Forse è proprio la sua critica attuale e frizzante che lo rende unico e sempreverde; le sue provocazioni in rima, condite da un tagliente umorismo ed ironiche osservazioni, muovono la folla conquistando il pubblico dei cultori dell'hip-hop e non. 
Herman Medrano and The Groovy Monkeys nascono nel 2009 dall’incontro tra il cantante veneto e sette musicisti provenienti da contesti differenti, che danno vita a un mix di sonorità funky, rock e reggae. La band è composta da: Herman Medrano (voce), Diego Graziani (chitarra), Alessandro Lughi (Hammond, piano, synth), Leonardo Ardillica (tromba e cori), Yuri Argentino (sax),  DJ Tech (turntables), Enrico Millozzi (basso), Ugo Ruggiero (batteria). Dopo quasi due anni di tour, che ha toccato varie località del Veneto con oltre 60 concerti, gennaio 2012 vede la pubblicazione del loro primo album, Simie, un doppio cd live che riassume il live show della band.
NOSECONOSSEMO, edito da La Grande Onda e distribuito da Audioglobe, è il primo album di inediti della band veneta, in cui il gusto sagace di Herman Medrano si incontra e si arricchisce del sound fresco dei Groovy Monkeys, dando vita ad un mix di sonorità funky, rock e reggae.

Abbiamo intervistato Herman Medrano, la voce del gruppo.

Herman, di recente è uscito il vostro album NOSECONOSSEMO. Com’è nato questo lavoro?
E’ nato in un anno di duro lavoro e divertimento, tra sale prova e concerti, tra cene e registrazioni casalinghe, è un disco fatto con il cuore. Dopo tre anni di concerti abbiamo messo le basi per un lavoro organico e strutturato. NOSECONOSSEMO significa “non ci conosciamo”, è il momento di fare conoscenza.

Come vi è venuto in mente di scrivere testi rap in veneto?
Perché è la mia lingua, la parlo tutti i giorni da sempre. È la naturale evoluzione della mia passione per il rap, dove in testi articolati riesco a coniugare la nostra realtà con il linguaggio più adatto a descriverla. L’italiano manca dei termini coloriti della nostra lingua, non arriva altrettanto diretto.


Il vostro album tratta varie tematiche  sociali ma in particolare è un inno alla conoscenza. Come mai?...

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lunedì 3 giugno 2013

"Se non cambiamo le carte in tavola, nessuno lo farà al posto nostro". Intervista al cantante e autore Jacopo Ratini


La prima impressione che si ha su Jacopo Ratini è che sicuramente è un tipo un po’ sui generis, nonostante l’aria da rocker che ai tempi del liceo mi avrebbe fatto sbavare nei corridoi.

Appassionato di musica sin di piccolo, Jacopo inizia a fare della sua passione un mestiere nel 2008.
Disturbi di personalità, il suo ultimo album, prodotto dall’Etichetta Atmosferica Dischi, sono composto da 11 brani in chiave “pop d’autore”, con musiche divertenti, ballabili e testi schietti, diretti e riflessivi, che oscillano tra il sociale, l’ironico e l’intimista. Per la parte grafica, ha affidato le sue idee al geniale pennello di Marino d’Amore (già autore delle vignette ironiche del suo libro Se rinasco voglio essere Yoko Ono) che ha raffigurato, sulle dita di una mano, i personaggi rappresentanti vari disturbi di personalità: il depresso, il killer antisociale, l’esibizionista, l’uomo affetto da personalità multipla (Napoleone) e sul pollice, in ultimo, la caricatura di Jacopo Ratini che li guarda impaurito ed esterrefatto.
Cantautore, scrittore di poesie e racconti, Jacopo appare subito un ragazzo ricco di sfaccettature che sono curiosa di conoscere.
Leggete cosa mi ha raccontato…

Jacopo, parliamo di musica, una delle tue passioni. Nel 2010 hai partecipato a Sanremo con una canzone d’amore intitolata Su questa panchina.  Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?
Sicuramente è stata una bella esperienza da un punto di vista artistico e anche formativo perché comunque pur essendo autore e scrittore, la mia massima ambizione era il Festival di Sanremo, ho sempre avuto il pallino.
Nel bene e nel male, con tutte le voci positive o negative intorno a questo evento resta la manifestazione più importante della musica italiana. Per me sin da piccolo era un sogno che poi si è avverato e quando i sogni li vivi, conosci tutto anche i retroscena. È un’esperienza che rifarei, poiché la considero positiva nel complesso.

Mi ha colpito molto un tuo brano Studiare, Lavoro, Pensione e poi Muoio. Ce la godiamo poco?
Sicuramente il messaggio è che stavo sbagliando strada. La mia pancia, il mio cuore e la mia testa erano in contraddizione. Io lavoravo in un ufficio 8-9 ore al giorno, facevo selezione del personale (Jacopo è laureato in psicologia del lavoro, e si nota anche dalla sua abilità nell’aggirare l’ultima domanda, ndr) e la mia anima aveva preso un’altra strada. Dico infatti “farò la rock star quando sarò in pensione” perché pensavo che avrei fatto l’artista solo dopo. Era ingabbiata in un ruolo che poi è la vita quotidiana, siamo tutti costretti a fare cose che non ci piacciono, ma vanno fatte.
Una volta si studiava per avere un lavoro migliore, una pensione e avviarsi alla fine della vita. Oggi invece si studia tanto, per lavorare... Poco, la pensione chissà chi la vedrà. Solo la morte è rimasta una certezza!
Ma se non cambiamo le carte in tavola, nessuno lo farà al posto nostro.


Hai collaborato con Claudia Koll curando la colonna sonora del suo musical Vacanze Romane. Hai avuto modo di conoscerla?...

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