L’unica cosa che puoi prevedere, prima di incontrarla, e' che avra' un cappello, molto probabilmente nero, uno sguardo furbo e un ampio sorriso. Per il resto, Amelie Nothomb si rivela sempre un autentica sorpresa. Nata da una famiglia belga a Kobe, in Giappone, nel 1967, Amelie passa un’infanzia molto movimentata viaggiando da un paese all’altro. Suo padre e' infatti un importante diplomatico e porta cosi' la famiglia a seguirlo in tutti i suoi spostamenti. Dopo aver passato i primi 6 anni della vita in Giappone, periodo che verra' narrato in Metafisica dei tubi, la piccola Nothomb andra' in Cina.
È un momento molto difficile anche perche' il paese e' segnato dal comunismo ma li', come racconta in Sabotaggio d’amore , incontrera' un bambina italiana, Elena, di cui si innamorera'. Successivamente si trasferisce a New York, dove resta fino all’inizio dell’adolescenza. Ne parla in Biografia della fame, dove inizia anche a esprimersi a riguardo dei problemi di anoressia che hanno afflitto sia lei che la sorella Juliette, con cui ha vissuto in simbiosi durante l’adolescenza. È riuscita a guarire grazie alla scrittura; dice “Tendevo all’autodistruzione, Nieztsche mi ha salvvato la vita. Ho capito che l’energia che avevo potevo incanalarla meglio.
E cosi' e' stato: ho iniziato a scrivere” Si trasferisce a Bruxelles a 17 anni, dove si laureera' in Filologia Classica ma dove, forse a causa del cognome un po’ ingombrante, non riesce a farsi dei veri amici. Torna dunque al suo primo amore, il Giappone, dove verra' assunta in un’azienda come traduttrice poiche' parla il franponese, neologismo da lei coniato per far capire come abbia padronanza di entrambe le lingue, francese e giapponese. L’esperienza si rivela un disastro: la illustrera' con sferzante ironia in Stupore e tremori, per poi far ritorno in Belgio. Nel 1992 esordira' con Igiene dell’assassino che la fara' conoscere al grande pubblico e le fara' aver un enorme successo, tanto che i suoi fan si fanno chiamare nothombiani. Il suo stile limpido e' sublime.
Sembra ossessionata dalla ricerca della parola giusta, e riesce sempre a trovarla, regalando ai suoi lettori quella che definisce “musica della parola”. Acuta, divertente, un vero vulcano di idee, Amelie Nothomb e' sicuramente una delle piu' importanti scrittrici del panorama europeo attuale. Quando la incontri, o semplicemente leggi uno dei suoi romanzi, la prima domanda che sorge spontanea e' “Ma ci e' o ci fa?” e lei, personaggio alquanto pittoresco, ha approfittato di questo facendone il suo punto di forza.
L’autrice si sveglia ogni mattina alle 4 e scrive, a mano, per quattro ore. È il momento migliore della giornata a parer suo. E sebbene partorisca un libro dietro l’altro (ebbene si', continua a sostenere che i libri siano come dei figli), ha deciso di pubblicarne uno all’anno. L’ultimo, il 20esimo, si intitola Uccidere il padre: racconta la storia di un mago e di un giovane che diventa per lui come un figlio. «Uccidere il padre e' un atto simbolico - dichiara la scrittrice - si tratta di liberarsi di quelle speranze che i nostri genitori hanno riposto in ognuno di noi».
E a chi dei suoi lettori si lamenta per la brevita' dei suoi romanzi che hanno poche pagine, seppur molto intense, risponde «So che chi finisce di leggermi si sente frustrato. Lo sono anche io – ammette - Ma la funzione dei miei libri, cosi' come quella della magia, non e' offrire un lieto fine. Piuttosto insinuare dubbi. E spingere i lettori a mettere in discussione la realta'». Si vi alletta farvi domande, provate a leggere un suo romanzo. Sono certa che non rimarrete delusi!
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