mercoledì 11 luglio 2012

Intervista esclusiva ad Adriana Cantisani - La Tata si racconta

Sguardo luminoso, sorriso aperto e dolce fermezza in ogni cosa che fa. 

Questa è, in poche parole, Adriana Cantisani, meglio nota al pubblico italiano come Tata Adriananel programma Sos Tata. Ma Adriana è molto di più. 

Nata a Montevideo, si è trasferita negli Stati Uniti con la famiglia dove è nata la suapassione per i bambini e l’infanzia. Durante gli studi ha lavorato come coordinatrice delle attività di psicomotricità di bambini e adolescenti con severi handicap sia mentali che fisici, per poi arrivare a laurearsi nel 1992 in lingue (studi italiani) con indirizzo in psicologia cognitiva per l'apprendimento linguistico, conseguita presso University of California, San Diego. 
Innamoratasi di un italiano, si è poi trasferita nel Bel Paese dove tutt’ora vive, con il marito e i figli. 

Andiamo a scoprire qualcosa in più di lei. La Voce l’ha intervistata per voi. 

Adriana, lei è nata a Montevideo, è cresciuta negli States, e ora vive in Italia. Come convivono in lei tutte queste culture? 
La risposta è semplice: io vengo già da una famiglia multiculturale! Mio padre era figlio di italiani, mia madre per metà brasiliana e per metà tedesca quindi comunque già dalla nascita c’era un mix di cultura, ne ho solo aggiunta un altro po’. Qualcuno forse la vive come un ostacolo da superare, viste le difficoltà di una lingua da imparare. Ma per me è un valore aggiunto. 


Sos Tata è il programma che l’ha resa celebre in tutta Italia. Dal passato a oggi le problematiche dei bimbi, e dei genitori, sono sempre le stesse o si sono modificate?
Per quanto riguarda la mia esperienza con le famiglie, i bambini sono gli stessi da sempre, non sono cambiati. Hanno sempre le stesse paure, le gelosie, la fatica a scuola… Ciò che ci definisce come persone non ha subito modifiche e lo stesso per i genitori: vivono le stesse ansie e le stesse responsabilità, come 50 o 100 anni fa. Quello che credo sia cambiato è invece la società in cui viviamo. Ovviamente sono nate nuove problematiche. Ad esempio, una volta il bambino per i primi 3 anni di vita stava con la madre, molte volte adesso non è così se la mamma deve lavorare. 
E poi le agende dei bambini sono piene di impegni, troppi! C’è chi tende a dire che sono i genitori a volerli arricchire con diverse esperienze ma è anche vero che con se entrambi i genitori lavorano, un bambino da solo non può stare. Musica, sport, troppe cose da fare possono arrecare ai piccoli molto stress, però è il mondo in cui viviamo che ci porta a fare queste scelte. 

Come vede le nuove realtà famigliari che si sono venute a creare? Genitori separati, mamme single, genitori omosessuali…? 
La risposta potrebbe essere lunga e articolata. Non vedo nessun problema con queste realtà, anche perché ho amici separati con figli e anche single con figli e io personalmente non vedo il problema. Ciò che è importante è però ricordare sia nel caso del separato che nel single o nella coppia omosessuale, che un bambino per un sano sviluppo psicologico ha bisogno sia della figura femminile che maschile con cui confrontarsi, questo è importantissimo. Ho due amiche omosessuali, sposate in Inghilterra, con due bambine, che hanno lo stesso papà. E anche se non vive con loro, fa le veci di un padre. 
Si potrebbe dire allora che anche un papà vedovo o una mamma vedova hanno lo stesso problema, cioè la presenza di un genitore ma la mancanza dell’altro. 
È vero poi che se dobbiamo considerare i pregiudizi e la pressione sociale, i problemi diventano altri, ma non sono legati al concetto della famiglia in sé. 

Lei è l’inventrice di ‘English is Fun!’ metodo innovativo per insegnare l’inglese ai più piccoli che unisce gioco e apprendimento. Quali stratagemmi usa per far imparare, divertendo, questa lingua ai più piccoli? 
Il metodo “English is Fun!” prevede un particolare approccio linguistico che a sì che I bimbi capiscano ciò che gli viene detto dalla maestra sin dal primo incontro. Questo è importante per instaurare il rapporto di fiducia che è alla base dell’apprendimento linguistico, sia nella prima che nella seconda lingua. Le attività sono specifiche, pensate appositamente per sviluppare le abilità di apprendimento dei bimbi e quindi toccano le sfere fisiche,socio emotive e cognitive dello sviluppo bimbo, che è coinvolto a 360°. Si lavora in piccoli gruppi e ci si diverte tanto, per questo “English is Fun!” 


Ha recentemente creato l’équipe di Obiettivo Bimbo, centro di formazione e consulenza e sta lavorando molto sulla sua figura di Family Coach, l’allenatrice della famiglia, cioè la persona che individua strategie per migliorare la situazione familiare a vantaggio di tutti i membri ma in particolare dei bambini. Quali metodi avete comprovato? 
L’innovazione di Obiettivo Bimbo è proprio il lavoro di equipe: si lavora sempre in gruppo. Le difficoltà, quando viene una famiglia da noi, non è solo della mamma o del papà, ma è della famiglia intera e non può bastare un approccio unilaterale. Per esempio, se bimbo mangia poco si pensa che magari basti rendergli il pranzo divertente o decidere insieme il menù per risolvere, ma non è così semplice. A volte il non mangiare è la punta dell’iceberg perché sotto, non sempre ma spesso, c’è un disagio psicologico più profondo che richiede l’intervento di uno psicoterapeuta per i genitori e di uno psicomotricista per aiutare il bimbo con le emozioni. 
Il family coach può aiutare nella praticità quotidiana. Non ci concentriamo su una cosa sola, non si può risolvere una problematica ignorando le altre: è questa l’innovazione. 

Che progetti ha per il futuro? 
Stiamo organizzando un lancio ufficiale del progetto Obiettivo Bimbo, è previsto per metà settembre. 
Per quanto riguarda progetti miei particolari, girerò a fine estate un programma su “DeA Junior”, un canale per bambini della De Agostini. Bollono sempre tante cose in pentola anche perché amo molto il mio lavoro. 

Infine, se potesse dare a dei genitori un consiglio prezioso, uno solo, per far crescere un bambino sereno quale sarebbe? 
Penso che la cosa più importante sia credere sempre nella potenzialità dei nostri figli, non perdere mai la fiducia in loro. Questo è regalo più bello che possiamo fare: crediamo in loro fino alla fine. 

E se lo dice lei, non possiamo che crederle. 

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