La sua prima vignetta venne pubblicata nel 1990sul New York Times. Il resto è storia.
Scrittore e illustratore italiano, Andrea Valentenasce a Stradella, nell’Oltrepò Pavese. Dando un occhio alla sua produzione, dalla Pecora Nera, il suo personaggio più celebre, a Sottobanco, una raccolta di racconti puliti e diretti in cui tutti noi possono ritrovarsi, e ancora Cervelloni d’Italia che racconta 80 imprese di italiani che, tra il 1861 e il 1961, hanno realizzato qualcosa di speciale, si può senza dubbio affermare che Valente è un autore poliedrico, eclettico.
Al suo lavoro è dedicata una grande mostra al Festival di Illustrazione di Pavia, aperta proprio in questi giorni.
Lo scrittore ha vinto il Premio Andersen 2011 come autore completo con la seguente motivazione: Per una produzione editoriale vasta e diversificata, capace di coniugare con inesausta felicità narrazione e divulgazione, qualità della scrittura e attenzione alle esigenze del lettore… per il brio e la freschezza che costantemente accompagnano, in bilanciata fusione, testi e illustrazioni”.
Energico e pieno di idee, La Voce l’ha intervistato per voi.
Andrea , quando hai iniziato a scrivere e spinto da cosa?
Il mio primo libro Un anno da Pecora Nera è del 2000 e nasce da una situazione insolita, quasi unica. Io disegnavo e basta. Pecore soprattutto, visto che quello era il periodo d’oro della Pecora Nera. Non pensavo a scrivere, ma un giorno dalla casa editrice Fabbri mi hanno contattato proponendomi di scrivere un libro. Ovviamente ho accettato, anche se gran parte del tempo l’ho trascorsa pensando a cosa scrivere.
Quindi, in un mondo dove tantissime persone hanno un libro nel cassetto, ma non hanno un editore, io avevo l’editore, ma nulla nel cassetto. Non avevo nemmeno il cassetto!
Sei anche illustratore. Cos’hanno in comune disegno e scrittura?
Disegno e scrittura sono per me due facce della stessa medaglia.
Nei miei libri, con le parole e con le immagini esprimo due volte il medesimo concetto, sommando una cosa all’altra, dando più forza a ciò che voglio dire.Uno dei miei prossimi libri, però, sarà illustrato da un’altra persona e io mi limiterò al testo. Sono molto curioso, perché in questo caso, se le cose vanno bene, disegno e scrittura non si sommano, ma si moltiplicano. Se funziona, però, altrimenti son guai!
La tua illustrazione più celebre è Pecora Nera. Com’è nata e soprattutto cosa significa per te essere Pecora Nera?
La Pecora Nera è nata per caso, prendendo in giro Lupo Alberto.
Un’azienda che produceva biglietti e magliette mi chiese di pensare a dei personaggini per i loro prodotti e, per darmi qualche esempio, mi diedero tutti i biglietti di Lupo, che io già leggevo e conoscevo. Alla prima riunione, scherzando proposi un biglietto di buona fortuna, con un lupo azzurrognolo impiccato (!) e la scritta ‘crepi il lupo!’. Con mia sorpresa, lo scherzo fu accettato e il biglietto prodotto. Ma se il lupo è morto (bonariamente), a chi far dire quella frase se non all’animale che è il suo opposto, quindi una pecora? Allora non una pecora qualsiasi, bensì una Pecora Nera ed eccoti il personaggio. La filosofia di fondo è usare la propria testa, per chi ce l’ha. Chi non ce l’ha è una pecora bianca e non ci importa.
C’è un autore che ti ha particolarmente influenzato?
Più di uno, ma volendo fare un nome solo, sicuramente Gianni Rodari, che leggevo da bambino e leggo ancora. E chi non lo legge non sa cosa si perde!
Essere uno scrittore non è facile... C’è stato un momento in cui hai detto”Basta! Mollo tutto!”? E se sì, cosa ti ha fatto reagire?
Essere scrittore non è facile, ma è bellissimo, e già questo allontana qualsiasi desiderio di smettere.
Se però mi guardo indietro, vedo che le cose che mi è capitato di fare sono state come tanti treni in corsa, su cui sono saltato. Mi piace fare tante cose, anche diverse, e cambiare treno ogni tanto. Nei momenti più difficili, quando un treno rallenta, il trucco è cambiare treno. Chissà dove si arriverà...!
Scrivi per i giovani. Cosa è cambiato nel loro mondo e com’è cambiato il tuo approccio con loro negli ultimi anni?
Innanzitutto ti ringrazio per aver utilizzato la parola ‘giovani’, perché è perfetta. Non scrivo per bambini, semmai per ragazzi, ma giovani è davvero la definizione migliore. E siccome scrivo anche un po’ per me, forse è un modo per tenermi giovane...
Essenzialmente quello che mi piace nei giovani, e credo sia sempre stato così e sempre sarà, cambiando negli anni solo il contorno, è che sono pieni di futuro, mentre gli adulti sono spesso ingolfati dal passato e imbottigliati dal presente. Il mio approccio è diretto. Non cerco un modo particolare per confrontarmi con loro: se funziona bene, altrimenti è meglio lasciar perdere, perché i ragazzi se ne accorgono subito, se li stai prendendo in giro oppure no.
Se non avessi intrapreso questa strada, cosa avresti fatto?
Avrei preso un treno per chissà dove.
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